ROMA. Attacchi e accuse in diretta tv, proteste sui social, manifestazioni sotto la Curia di Cracovia. Mentre il Vaticano scoperchia il vaso di Pandora con il lungo Report sui fatti e misfatti dell’ex cardinale McCarrick, nella Polonia già agitata dalle manifestazioni sull’aborto esplode un uragano per lo scandalo abusi del clero. Questa volta ad essere travolto è il massimo vertice della Chiesa cattolica, il cardinale Stanislaw Dziwisz, 81 anni. 

«Don Stanislao», l’arcivescovo emerito di Cracovia, figura leggendaria per la profonda amicizia con San Giovanni Paolo II, servito per oltre quarant’anni come segretario personale, è al centro di una bufera per l’accusa di aver insabbiato in cambio di soldi casi di pedofilia in Vaticano e in Polonia. Si parla soprattutto dei crimini dell’ex arcivescovo di Washington, Theodore McCarrick, conosciuto nel ’76, col quale mantenne per anni stretti rapporti (tanto che McCarrick gli si rivolgeva col nomignolo «monsignor Stan» o «monsignor Stash») o quelli del fondatore messicano dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, abusatore seriale punito solo dopo decenni.

A rivelare tali accuse – ancora da comprovare – è un documentario andato in onda la sera del 9 novembre su Tvn24, la più grande emittente televisiva privata della Polonia, dal titolo “Don Stanislao. L’altro volto del cardinale Dziwisz”. Lo firma Marcin Gutowski, giornalista della redazione di “Black on the White”. In un’ora e mezza Dziwisz viene messo alla graticola: casi di pedofilia nascosti a Wojtyla, legami con politici del PiS, lettere ignorate delle vittime di preti polacchi o di McCarrick e Maciel; fiumi di soldi che il prelato avrebbe ricevuto, insieme all’allora segretario di Stato Angelo Sodano, per chiudere un occhio su svariate denunce recapitate in Vaticano. Nel documentario viene intervistato, tra gli altri, il giornalista statunitense Jason Berry che già molti anni fa scrisse delle cospicue donazioni che Maciel elargiva alle alte sfere vaticane dell’epoca comprandone il silenzio. Accuse pesanti, alcune delle quali sussurrate già da tempo nei corridoi dei palazzi vaticani, dove Dziwisz viene ricordato come l’eminenza grigia che deteneva il potere specialmente negli ultimi anni di pontificato di Wojtyla segnati dalla malattia. Mai prima d’ora, però, e soprattutto in Polonia, il cardinale era stato minimamente attaccato, come se ogni critica fosse uno sgarbo al Papa santo che ha servito per decenni, sin da quando era ausiliare di Cracovia fino alla morte nel 2005. 

Sull’onda dell’implacabile indignazione che dall’anno scorso serpeggia nel Paese dell’est europeo, specialmente dopo i docufilm dei fratelli Siekielscy sugli abusi del clero, adesso anche a don Stanislao viene chiesto il conto. Diversi giornalisti, deputati del Sejm, senatori, rappresentanti politici, specialmente della sinistra, dopo il documentario hanno espresso su Twitter lo sconcerto per il «materiale scioccante e terrificante» andato in onda e domandano verità e giustizia.

Ieri notte, diverse centinaia di persone hanno preso parte invece ad una manifestazione davanti alla Curia di Cracovia. Urla come: «Ipocriti. Dove erano le vostre istituzioni che avrebbero dovuto proteggere i bambini?», sono risuonate in via Franciszkańska. Già nei giorni scorsi gruppi di donne si erano riunite in un sit-in in via Kanonicza, dove vive il cardinale. Alcune delle proteste sono finite con assalti ai poliziotti e arresti.

Il caso, al momento, tiene banco su tutti i media della Polonia. È intervenuto quindi il presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo Stanisław Gądecki, chiedendo che ogni accusa sia chiarita da una competente Commissione della Santa Sede. «Allo stesso tempo – ha aggiunto il presule in un comunicato – vorrei sottolineare che la Chiesa in Polonia è grata al cardinale per i suoi molti anni di servizio con San Giovanni Paolo II».

Dziwisz ribadisce l’estraneità ai fatti contestati e si dice favorevole ad un’indagine indipendente sul suo conto in modo che la verità possa venire alla luce. «Rinnovo la mia proposta affinché una commissione indipendente valuti le azioni intraprese da parte della Chiesa nelle vicende toccate dal filmato. Sarei disposto a collaborare pienamente, non si tratta di nascondere eventuali negligenze, ma di presentare scrupolosamente i fatti».  

Già il 20 ottobre in un’intervista fiume rilasciata sempre a Tvn24, l’influente porporato aveva rigettato ogni accusa, in particolare quella di aver ignorato il caso di Janusz Szymik, sacerdote di 48 anni vittima a 12 di padre Jan Wodniak, amico della sua famiglia. Szymik afferma di aver consegnato brevi manu a Dziwisz, allora titolare di Cracovia, una lettera per denunciare le oltre 500 violenze subite da Wodniak dal 1984 al 1989, nel villaggio di Międzybrodzie Bialskie (due ore a sud-est di Cracovia), senza però mai ottenere risposta. Dziwisz assicura di non aver mai ricevuto nulla.

Affermazioni, queste, smentite da un sacerdote di Cracovia, padre Tadeusz Isakowicz-Zaleski (noto fondatore di una Onlus per disabili fisici e mentali), che ha giurato di aver consegnato la lettera all’arcivescovo nel 2012, pubblicando pure una copia sul suo blog. «Non ricordo conversazioni su questo. Non posso avere sulla coscienza di non aver aiutato qualcuno quando ha cercato il mio sostegno. È impossibile», si è giustificato Dziwisz. «Se conoscessi tutti i dettagli, reagirei, anche se non avevo il diritto di farlo perché era una diocesi diversa» (Bielsko-Zywiec, fondata da Giovanni Paolo II, ndr).

Qualcuno nell’episcopato polacco pensa che anche il cardinale sia finito in una sorta di «trappola» che mira a far perdere credibilità alla Chiesa per scopi politici. Il popolo, in primis quello cattolico, invoca però trasparenza da parte delle gerarchie ecclesiastiche. La stessa dimostrata dal Vaticano con la pubblicazione di 460 pagine di report su McCarrick. 

Neanche due settimane fa, in Polonia, aveva fatto scalpore la vicenda del cardinale 90enne Henryk Gulbinowicz, emerito dell’arcidiocesi di Breslavia, punito dal Papa per violenze su minori e atti omosessuali. Per lui il divieto di partecipare a qualsiasi celebrazione o riunione pubblica, di usare le insegne vescovili e l’interdizione dal servizio funebre e della sepoltura in cattedrale. Il porporato, accusato anche di collaborazionismo col regime comunista, è stato obbligato anche a pagare «un’adeguata somma di denaro sotto forma di donazione per le attività della Fondazione San Giuseppe, istituita dalla Conferenza episcopale polacca per sostenere le attività della Chiesa a favore delle vittime di abusi sessuali».

https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/11/11/news/polonia-dz…

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